Vogliono ammazzare il gattopardo per venderne la pelle

Immagine

da wwww.controlacrisi.org

Mi è capitato di leggere l’ultimo libro di Alan Friedman “Ammaziamo il Gattopardo”, quello che sta occupando i tg nazionali per avere rivelato una non notizia: la decisione e le consultazioni di Giorgio Napolitano orientate a far dimettere Berlusconi e a sostituirlo con Mario Monti.

Ho deciso di leggerlo per comprendere cosa ci fosse dietro una operazione di questo tipo. Immediatamente dopo le prime righe l’obiettivo del libro appare chiarissimo: trovare alcuni escamotage retorici e finti scoop per ridare la linea economico ideologica al paese. Appare assai evidente l’espediente della rivelazione delle notizie sulla scelta di Napolitano per attrarre l’attenzione su un libro che sembra confenzionato in due giorni. Inizia con alcune pezzi di interviste dove si fa dire, senza che questo venga smontato, a Giuliano Amato che il debito pubblico del paese è, in ultima istanza, responsabilità indiretta del PCI per il solo fatto di esistere e che la coppia Craxi – Andreotti con il pentapartito sentivano la pressione dei comunisti sulla spesa pubblica; per non perdere terreno elettorale decidevano applicare la logica del “piu uno”: cioè ad ogni richiesta del PCI aggiungevano qualcosa in proprio per dare l’idea di essere sensibili alle istanze sociali e dei lavoratori. Già solo questo basterebbe a usare la carta del libro per altri usi. Ma c’è di più. Ci sono ampi stralci di interviste, con relativi finti gossip, a D’alema, Berlusconi, Prodi, De Benedetti e soprattutto, vero oggetto del libro, a Renzi. Leggi il resto di questa voce

Cambiare. Si fa!

Negli ultimi  giorni la politica italiana è stata scombussolata da una serie di eventi che necessitano di una riflessione analitica prima e di una pratica poi per poter meglio fare delle scelte.

1)      E’ stato definitivamente approvato il provvedimento della procedura di modifica della Costituzione. Vengono, infatti, modificati quattro articoli – 81, 97, 117 e 119 – e si introduce il principio del pareggio di bilancio. Tale principio vale per tutti i livelli dello stato. Questo comporterà che gli organi dello stato non potranno fare spese se non dentro questo principio vincolante. L’effetto più drammatico di questa modifica costituzionale è che le spese che riguardano le politiche sociali, la sanità  e più in generale il welfare subiranno una netta contrazione. E’ facile prevedere che nel contesto di crisi occupazionale e di contrazione dei salari, fase iniziata con il governo Berlusconi e rafforzata a dismisura con il Governo Monti,  questa scelta produrrà effetti sociali devastanti in tutto il paese. Un esempio di questo si è già visto con il taglio dei fondi per i malati di SLA. L’approvazione del pareggio di bilancio in costituzione unito all’approvazione del c.d. Fiscal Compact sono i cardini del nuovo indirizzo economico dell’Europa. La stragrande maggioranza dei partiti presenti in parlamento, compreso il PD, ha votato a favore sia del fiscal compact che della modifica costiuzionale. Il fiscal compact non è altro che un dispositivo, inteso nell’accezione foucaltiana di apparato, che impone il taglio di 45 mld di euro annui per i prossimi venti anni. Questo dispositivo  porta con sé un vero e proprio modello sociale che si fonda sul principio dello stato di natura di Hobbes, cioè un luogo senza mediazioni e senza legge dove non ci sono più garanzie per nessuno e i servizi e gli stessi salari saranno erogati fino a quando non si arriva al limite del pareggio di bilancio.       http://documenti.camera.it/leg16/dossier/Testi/ac0691e.htm#dossierList Leggi il resto di questa voce

PERCHE’ NON VOTO ALLE PRIMARIE .

Sono in tanti fra i nostri compagni a pensare che, seppur in un ottica non entusiasmante, le primarie costituiscono un elemento di scelta democratica. Credo sia una lettura figlia esclusivamente della pressione mediatica che in questi giorni si sta rendendo necessaria per distogliere l’opinione pubblica dalle scellerate scelte che sta compiendo il Governo Monti per adeguarsi alle esigenze della BCE controllata dalla Germania. Queste scelte non sono irreversibili e non sono espressione di un destino segnato. Politiche differenti sono possibili e ampiamente attuabili a patto che il paese riesca ad esprimere un bisogno di democrazia alto e sia in grado, con tutti gli strumenti del conflitto sociale democraticamente utilizzabili, di mandare a casa questo Governo ed agevolare le forze che esprimono l’alternativa all’ austerity imposta dalle banche e fatta pagare alla parte della popolazione che sta peggio.

Il candidato Renzi sostituisce il feticcio di Berlusconi per coprire l’esigenza di avere uno spauracchio contro cui scagliarsi. Peraltro nemmeno la destra ha sciolto il nodo del candidato Premier. In ogni caso è utile precisare che indicare il futuro Presidente del Consiglio, non è un vincolo di legge ma una prerogativa del Presidente della Repubblica, quindi, la scelta di indicare il candidato Premier è solo una scelta ideologica, ormai completamente assorbita dall’opinione pubblica e che ha avuto la funzione di orientare il corpo elettorale verso una cultura maggioritaria, utile a rafforzare il fenomeno della dittattura della minoranza. Leggi il resto di questa voce

Gianluca Nigro: Nei campi torna il lavoro minorile, e la politica è silente.

da http://www.controlacrisi.org

Gianluca Nigro è stato il coordinatore del progetto di accoglienza della Masseria Boncuri di Nardò, un progetto sperimentale che ha contribuito ad aprire in Italia una stagione di lotte con il primo sciopero autorganizzato dei braccianti contro la schiavitù ed il lavoro nero. Un’intervento portato avanti da associazioni di base ( Brigate della Solidarietà Attiva e Finis Terrae) che ha provato a superare  l’approccio etico dell’associazionismo classico  in tema di immigrazione per rimettere al centro il terreno dell’organizzazione dei lavoratori e della loro presa di voce.  Controlacrisi.org lo ha intervistato.

(nella foto: blocco stradale dei braccianti a Castelnuovo Scrivia – estate 2012 )

Nardò, Salluzzo, Castelnuovo Scrivia, cosa succede in agricoltura con i migranti?
Succede che nonostante i tantissimi tentativi di rimuovere l’attenzione su ciò che accade nel mondo del lavoro migrante qualcosa si muove. Quelli da te citati sono solo i luoghi giunti agli onori delle cronache, ma c’è tanto altro che si muove su questo terreno. Dopo tanti anni, non senza contraddizioni, anche piccoli spezzoni del mondo della chiesa si affacciano al tema del lavoro migrante. Però c’è tanto da costruire, o forse potremmo dire da decostruire; nel senso che è fodamentale rimuovere molti luoghi comuni e schemi di ragionamento incrostati nel tempo che rappresentano il vero freno alla costruzione di un percorso di avanzamento sociale dei lavoratori stranieri. Il tappo non è rappresentato da loro, ma dalle sovrastrutture di noi italiani nel non considerarli lavoratori salariati . A questo si aggiunge il fatto che dentro la dimensione della crisi tutta la questione migrante subisce un disinteresse generale da parte della politica, come se i processi legati alla crisi non fossero Leggi il resto di questa voce

Migranti e Sindaco. Un rapporto fuori dal Comune.

Ci risiamo. Il sindaco Consales non smentisce una tendenza iniziata più di venti anni addietro: nei momenti di difficoltà accanirsi contro i migranti è sempre la via d’uscita. Basta inventarsi un nemico per coprire le proprie debolezze. Accade così che alcuni commercianti chiedono una irrazionale riapertura dei corsi e l’amministrazione si genuflette alle volontà di questa piccola lobbie; non paghi di questa scelta e probabilmente consapevoli che tutto questo non ha aumentato le vendite dei negozi e certamente non ha aumentato gli stipendi a nero di commesse e dipendenti di questi grandi imprenditori, si individua negli ambulanti arrivati per le feste patronali il nuovo impedimento alle vendite. Anche in questo caso l’amministrazione che fa? Produce una ordinanza in linea con il famigerato pacchetto sicurezza di Maroni e vieta il “bivacco” sui corsi agli ambulanti, di cui molti stranieri, che nelle pagine dei quotidiani fanno sentire la loro voce e ci restituiscono l’immagine di una Brindisi che non ci appartiene.

Leggi il resto di questa voce

C’ero anche io. Spunti.

Si, io c’ero sabato 15 Ottobre 2011. Ero, mio malgrado, dietro lo striscione che apriva il corteo. Il primo striscione. Ed ero insieme al mio amico e compagno Yvan Sagnet, portavoce degli scioperanti di Nardò, a “rappresentare” una lotta che, in qualche modo, anche se non ancora terminata, possiamo definire vincente. A mio avviso la lotta di Nardò è stata vincente perchè ha sfondato il muro dell’ipocrisia e del paternalismo nostrano ed ha prodotto, dentro un quadro molto difficile e ricco di insidie oltre che soggetto a “fuoco amico”, un elemento di avanzamento proprio perchè si fondava su elementi materiali. Non aspirava alla rottura dei rapporti attraverso il simbolico, ma cercava di incidere sul miglioramento delle condizioni materiali a partire dall’utilizzo di uno strumento tanto antico quanto efficace: lo sciopero. Cioè l’inceppamento del meccanismo del padrone, l’aspirazione, almeno parziale di mettere in crisi il suo profitto. Questo strumento, ancora efficace se surrogato o sussunto nella logica del simbolico, mette in discussione la sua rilevanza. Cosa c’entra lo sciopero con la manifestazione di Sabato? La risposta è semplice quanto banale. La manifestazione di sabato è una manifestazione tutta politica che parla di lotta alle politiche economiche messe in campo dalla BCE, su indicazione delle varie agenzie di rating e su consiglio del WTO e del FMI. Queste politiche vengono, di fatto, caricate sulle spalle delle classi meno abbienti e sulle nuove generazioni. Grazie alle ideologie neoliberiste, che hanno attraversato negli anni ottanta e novanta anche la grandissima parte di quello che oggi conosciamo come centro sinistra e si sono ormai talmente radicate da non essere più messe realmente in discussione, oggi ci troviamo a questo punto. In particolare per alcuni settori , partiti e movimenti la mutazione genetica è totale cioè ad un punto di non ritorno. Se il celeberrimo “ abbiamo una banca” di Fassino non ha nessuna rilevanza penale, non può dirsi ugualmente per la rilevanza politica e culturale. Tornando allo sciopero di Nardò l’unione fra la scelta del mezzo efficace, lo sciopero appunto, e la sua dimensione di lotta intelligente e non violenta le ha dato quella marcia in più per fare breccia nel senso comune e nelle dinamiche politiche. Quella scelta non è casuale e ha visto uno straordinario impegno nel praticarla.

Ciò che è sucesso a Roma parla invece di alcune debolezze e di grandissimi punti di forza. Le debolezze, come qualcuno ha voluto rilevare, attengono agli aspetti organizzativi – assenza di servizio d’ordine, basso numero di forze dell’ordine, troppa poca differenza nell’organizzazione fra partiti e sindacati e piccole realtà -, mentre la grande forza di questo movimento attiene alla sua dimensione e alla sua composizione sociale – precari, studenti e ceto popolare – , vera novità delle dinamiche politiche degli ultimi anni.

Da più parti, però, le debolezze vengono confuse o sovrapposte. La penetrazione profonda dell’ideologia liberista ha portato con se anche forme deleterie di destrutturazione della lotta politica. L’assunzione di forme di lotta più postmoderne come il flashmob o la formula delle campagne che durano al massimo qualche mese, hanno spostato l’attenzione molto più sull’estetica del conflitto e della battaglia politica che non sulla sua reale efficacia. Posizionarsi eccessivamente sull’elemento simbolico nella costruzione di una critica alle politiche reali prodotte dai governi liberisti e dalla BCE, significa non tenere conto delle vere dinamiche che possono produrre un sabotaggio del sistema che causa effetti sociali devastanti. Negli anni 80 i politologi parlavano di democrazia dei 2/3: cioè il sistema garantiva privilegi e riproduzione a 2/3 della società tenendo ai margini 1/3 di essa. Oggi questo schema, di impronta liberale, è saltato anch’esso nonostante fosse iniquo ed insufficiente. L’imbarbarimento si è allargato ed ha rovesciato la piramde: 1/3 , forse anche meno, sta bene, 2/3 vivono ai margini.

Basta leggere i recentissimi dati sulla povertà prodotti dalla Caritas e dalla fondazione Zancan per accorgersi che “Secondo il rapporto 2011 della Caritas (“Poveri di diritti”, Edizioni Il Mulino) sono 8,3 milioni i cittadini che vivono in povertà, pari al 13,8% della popolazione. Tra le fasce più colpite, le famiglie numerose, quelle con un solo genitore e i nuclei meridionali. Il dato che più colpisce, però, è un altro: in tempi di crisi economica la povertà sta cambiando volto, tanto che il 20% delle persone che si rivolgono ai Centri di ascolto in Italia ha meno di 35 anni”(http://www.controlacrisi.org/notizia/Economia/2011/10/17/16557-caritas-italiani-sempre-piu-poveri-in-aumento-i-giovani-che) .

In un quadro così fosco e duro negli ultimi anni le organizzazioni politiche non hanno prodotto alcun orizzonte credibile per la fuoriuscita da questa situazione. Oggi si punta il dito contro i black block o sedicenti tali che si ribellano, con l’uso della forza, al sistema.

Le forme del conflitto che si sono scontrate a Roma sono profondamente inadeguate: da un lato manifestanti che passeggiano, colorati quanto vogliamo ma sempre passeggianti, compreso il sottoscritto, dall’altro coloro che smontano bancomat e bruciano macchine, compresa la macchina (piccola) di un compagno, precario quanto loro e quanto me.

La discussione, però, non può attenere alla reciproca presa di distanza dalle differenti forme di lotta. E’ necessario dirsi che entrambe sono inefficaci al raggiungimento dell’obiettivo: i Governi non rispondono a queste sollecitazioni. Credo, invece, che la manifestazione di sabato sia nei suoi punti alti sia nei suoi punti di caduta parli a tutte le forze della sinistra , quelle politiche e quelle sociali e mostri in modo inequivoco la loro inadeguatezza. Questa manifestazione è uno spartiacque. Dire che i black block sono il nemico a me pare esagerato. Sono soggetti con i quali la sinistra deve prendere o riprendere un contatto e lo deve fare a partire dalla possibilità di dare delle risposte. Pena il rischio di nuove forme di autonomia del politico,con  tutto ciò che ne consegue. Anche se, per essere precisi, la dizione black block non è ne esaustiva ne chiara. Ci adattiamo  solo al linguaggio dei media di questi giorni.

In molti sostengono che gli avvenimenti di Roma produrranno una nuova stretta securitaria e repressiva. E’ utile dire, però, che questo fenomeno era già in atto, basterebbe guardare i fatti di Brindisi ( http://www.controlacrisi.org/notizia/Politica/2011/3/18/11144-BRINDISI:Sit-in-vietato:-Comitato-Disoccupati-contro/ e http://www.brundisium.net/notizienew/shownotiziaonline.asp?id=39774 ), dove viene prima negato il diritto a manifestare e poi a seguito della manifestazione e a distanza di sei mesi vengono fatti gli arresti. Questa mi sembra repressione allo stato puro.

La sinistra sociale e quella politica devono rimescolarsi e contaminarsi. Il sociale si deve politicizzare ed il poltico si deve socializzare. Gli anni a venire saranno caratterizzati da un abbassamento del livello di guardia della sopravvivvenza economica delle classi meno abbienti ed è indispensabile che si trovino delle formule efficaci di lotta, ma anche di auto aiuto e di condivisione. Se oggi la parte più numerosa dei manifestanti è precaria o disoccupata questo non significa che non possano esservi delle forme di solidarietà e di condivisione da parte di chi statutariamente rappresenta i lavoratori. Il grande assente di quella manifestazione è il sindacato, o meglio CGIL, CISL e UIL, perchè quello di base e la fiom erano presenti.

Quei black … sono figli di questo politicismo. Saranno anche delle teste di rapa, ma oggi o ci si fanno i conti oppure domani saranno davvero la nostra spina nel fianco. Tutto l’odio e il paternalismo da chi ha costruito carriere a fare il finto disobbediente è urticante come i lacrimogeni di piazza san Giovanni e fastidioso come l’odore delle macchine che bruciavano in via Cavour. Anche noi abbiamo i nostri benpensanti che sopportiamo turandoci il naso. Però ora basta.

L’italia ha conosciuto le condizioni di lavoro dei braccianti di Nardò, ha rimosso le condizioni di lavoro delle donne morte a Barletta e, invece come ci fa notare wu ming1 ( http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=5241) non conosce affatto le condizioni di lavoro delle persone che lavorano nelle aziende del web come Amazon e Apple, del defunto Steve Jobs. La differenza tra queste tre tipologie di lavoro è davvero limitata: una è legata all’industria , una al settore primario e l’altra alla ICT. In ogni caso si tratta di condizioni di lavoro ai limiti della sopportabilità fisica e psicologica e che non rendono al lavoratore la possibilità di condurre uno standard di vita sufficientemente agiato.

Bene, la differenza fra il primo caso e gli altri due è lo sciopero; cioè la dimensione del conflitto che cerca di inserire il granello di sabbia nell’ingranaggio di un sistema economico che si basa sullo sfruttamento, ed insieme rende visibile i soggetti che lo agiscono.

Penso si possa dire che questo è il trend verso cui va il lavoro anche nei paesi occidentali ad economia avnazata. Vi è di fatto una cinesisazzione del lavoro. Personalmente non credo che si possa sostenere che le forme di lotta parcellizzate possano rispondere all’esigenza di un cambiamento di rotta per il miglioramento di tutto questo. Forse è utile trovare nella storia della sinistra gli strumenti necessari per ridare un senso al termine classe, che oggi più che mai è necessario ed indispensabile. Intanto la lotta di classe in occidente la fanno le banche e la finanza contro i lavoratori ed i disoccupati. C’è qualcosa che non va.

Proviamo a guardare lontano?

E’ evidente che la sinistra è morta nei suoi rituali, almeno in quelli nati dal dopo Bolognina e sviluppatisi negli anni 90. Alcuni dei principali esponenti della sinistra di quegli anni e di questi – Bertinotti, Veltroni , Rutelli – sono politicamente defunti e D’alema non si sente tanto bene.

Costoro hanno fondamentalmente utilizzato gli strascichi di pratiche consolidate dagli anni 70 in poi, senza introdurre elementi di novità e di analisi innovativa della società: hanno, per sintetizzare, prosciugato le forze dei vecchi partiti di massa e delle loro relazioni sociali. Hanno assorbito il leaderismo come elemento costitutivo del loro proporsi. Leggi il resto di questa voce

SEI MINORI LASCERANNO CIE BRINDISI (ANSA) – BRINDISI, 16 APR

l'ingresso del CIE

Il giudice di pace di Brindisi Mario Gatti ha riconosciuto la presunzione di minore età per sei dei nove extracomunitari trasferiti mercoledì scorso dal porto di Napoli al Centro di identificazione ed espulsione (Cie) di Brindisi, in località Restinco. Il giudice ha disposto inoltre che gli stessi minori siano affidati ad una struttura protetta della provincia di Brindisi. Lo rende noto con un comunicato la Cgil di Brindisi, che stamani ha tenuto un sit-in dinanzi al Cie, esprimendo soddisfazione per la decisione del magistrato. L’udienza si tenuta all’interno del Cie brindisino. Oltre all’avv.Cristian Valle, difensore dei nove immigrati richiedenti asilo, all’udienza ha partecipato l’avv.Paola De Pascalis, dell’associazione Finis Terrae. Per i tre immigrati maggiorenni sarà presentato ricorso in Cassazione contro il decreto di convalida del trattenimento, perchè, secondo i legali, ci sarebbero state irregolarità procedurali da parte della Questura di Napoli. «La rete di soggetti sociali che sia a Napoli sia a Brindisi ha seguito e fatto emergere la vicenda – commenta la Cgil – ha consentito di verificare come si era di fronte a una piena violazione dei diritti. Questo dimostra che un’apertura agli enti di tutela e ai soggetti sociali, in queste vicende, consente di porre un argine alla ormai sistematica violazione dei principi fondamentali riveniente dalle norme poste in essere dalla legge Bossi-Fini»

Appunti sparsi sulle regionali

Bene, qualche commento a poche ore dai risultati elettorali mi è necessario, anche solo come traccia di un ragionamento che dovrà essere necessariamente collettivo.

Il quadro nazionale ci consegna un paese dove, nonostante le percezioni della sinistra, il berlusconismo è ancora forte e Berlusconi anche. La lega cresce e lo fa tenendo un doppio binario di azione: da un lato costruisce separatezze ( migranti, Nord – Meridione ecc. ), dall’altro costruisce radicamento sociale a partire dai bisogni che da quelle separatezze emergono. Viene fuori così una forza che , al di là dei nuovismi veltroniani e vendoliani, mostra come l’identificazione tra essere sociale ed essere politico sia la carta vincente per essere intellegibili ed efficaci. La candidatura della Bonino, ad esempio, parlava solo ad alcuni pezzi di società un po radical chic, mentre la Polverini con il retroterra di massa parlava, da destra, anche agli strati popolari.

La crisi si sente ed è perdurante e le forze della sinistra , comprese quelle del centro sinistra , stanno a guardare. Il lungo cammino di perdita di collocazione sociale da parte delle forze del centro sinistra ha prodotto gli effetti che sono sotto gli occhi di tutti noi.

La vicenda della Campania, anch’essa è paradigmatica: lì noi andavamo da soli, nostro malgrado, perchè non potevano darsi condizioni diverse se non accettando di introiettare le logiche profondamente di destra del candidato De Luca. Naturalmente paghiamo un prezzo politico, ma certamente ridotto rispetto a quanto è nei nostri obiettivi.

Ora, qualcuno vorrebbe un big bang attraverso il quale ridefinire rapporti, strategie e obiettivi della sinistra e del centro sinistra. Lo stesso Vendola parla di morte dei partiti. Lo fa naturalmente anche pro domo sua , mostrando una assenza di lungimiranza e cavalcando uno dei tanti nuovismi che egli rappresenta. Nichi, infatti, ha ottenuto un buon risultato ma non privo di contraddizioni interne e mettendo in moto degli elementi di novità comunicativa ( già presenti nella sua precedente elezione) che gli fanno credere che quella possa divenire la strada maestra. Poco si dice che anche in Puglia il calo dei votanti è stato di circa l’8%. Questo dimostra che nonostante il buon governo di Vendola la tendenza alla passivizzazione ha radici più profonde, che vengono anche corroborate da un ignobile sbarramento al 4% che non esiste nelle altre regioni. Qui è stato utilizzato come una clava per regolare conti interni alla sinistra e distogliendo lo sguardo da processi politici più generali. Da sempre le forze della sinistra sono per il diritto alla rappresentanza; solo nei sistemi liberali ottocenteschi, o dove vi è un’altra tradizione istituzionale, si usano i filtri dei sistemi elettorali per la vittoria politica. Ma questo è un altro discorso.

La Puglia del 2010 elegge un consiglio regionale altamente moderato, con un gran numero di ex socialisti eletti nelle fila della SeL e una parte di ex PD o ex UDC nelle fila della lista del Presidente. Si configura, così, una assemblea assai differente dalla precedente e sulla quale le forze della sinistra devono esercitare una forte attenzione perchè il rischio di implosione culturale e politica è alto.

La dissimulazione e lo spostamento al centro lo si ebbe già al momento del rimpasto di giunta dello scorso anno , quando con la scusa di rispondere agli avvisi di garanzia si produsse un cambiamento di orientamento politico: furono cacciati tutti i dalemiani e si fecero entrare gli ex margherita e assessori centristi.

Rimane, naturalmente, il dato della vittoria di Vendola, in una situazione di assoluta contro tendenza nazionale. Questo dato però va filtrato almeno nella parte che vuole una ripresa della sinistra e un eventuale accordo per le elezioni politiche del 2013. A quell’appuntamento si può e si deve arrivare con un’altra modalità. Sono in molti a pensare ad un Vendola candidato Presidente del Consiglio. E’ una ipotesi suggestiva, ma chiaramente sarà necessario vedere quale Nichi potrebbe arrivare a questo traguardo: quello dell’alternativa o quello della normalizzazione?

In questo quadro a noi cosa è dato fare? Io penso che sia arrivato il momento di una grande riflessione strategica che metta in campo ALTRE PRATICHE. Non è più possibile reggere lo scontro con la tattica e con una sproporzione di forze così elevato. L’oscuramento mediatico dopo l’uscita dal parlamento è diventato un grande problema, che non può essere affrontato con i siti web o con facebook, ma può essere minimamente colmato con la messa in campo dei corpi nella costruzione di lotte e di iniziative. Non v’è dubbio che questa è una prospettiva almeno di medio periodo, ma dalla quale non si può prescindere. Paradossalmente è la prospettiva di sinistra ad essere stata espulsa dal quadro politico generale.

C’è poi l’elemento del rapporto fra noi e SeL. Personalmente credo che le relazioni debbano giungere ad essere di riconoscimento reciproco e di collaborazione , fermo restando che non possiamo non mettere in evidenza le differenze di prospettiva. Partire dai contenuti è sempre lo strumento migliore in queste situazioni. Tutta la discussione dell’unità a sinistra è un tema che spesso viene utilizzato a sproposito e agitato male. Dobbiamo provare a unire i lavoratori, i precari, i migranti e coloro i quali hanno, secondo noi, la necessità di arrivare ad una prospettiva di classe, rifondata o meno. Non ci sono svolte organizzativistiche a questi problemi, ma solo culturali e di prospettiva. Le possibilità ci sono: è necessaria solo una maggiore consapevolezza collettiva interna ed esterna al partito.

Naturalmente la discussione si apre adesso.

Gianluca Nigro

La Sinistra e il Governo…..relazione pericolosa.

La sinistra al Governo......

Il giorno del giudizio è arrivato? Credo di no. Le Primarie , con tutto il loro carico di ambiguità devono ancora produrre i loro effetti. Il primo si è già disvelato: Vendola vince con uno scarto notevole sul concorrente piddino con tessera , Francesco Boccia. Figura debole anche se legata ai poteri forti, bocconiano di Bisceglie e lettiano di cultura politica.

Veniamo a noi. Cosa è successo a queste primarie? la maggioranza sostiene che l’autorganizzazione popolare, unita ad un sentimento anti dalemiano sia stato il brodo di coltura della sconfitta di Boccia. Sono persuaso dell’inesatezza di questa lettura . Vendola è un comunicatore di indubbio valore e anche un politico navigato, ma con l’esito di queste primarie questi due fattori sono stati quasi irrilevanti. La campagne delle primarie è durata meno di una settimana e il buon Nichi non è riuscito a fare i suoi comizi in tute le zone della regione. Si è fidato, nei fatti, del battage pubblicitario involontario prodotto da questo lungo tira e molla mediatico riguardo l’accordo con l’UDC. Le stesse primarie sono state accettate dal PD solo per tenere dentro la coalizione sia Vendola che Casini. Operazione già tentata da Vendola ai tempi del rimpasto di giunta di qualche mese or sono: andata male , però, per la cparbietà di Casini di provare direttamente e senza il filtro vendoliano a gestire una operazione complessa che aveva come sfondo l’acordo fra poteri forti per la gestione dell’AQP e di altro. Leggi il resto di questa voce