Gianluca Nigro: Nei campi torna il lavoro minorile, e la politica è silente.

da http://www.controlacrisi.org

Gianluca Nigro è stato il coordinatore del progetto di accoglienza della Masseria Boncuri di Nardò, un progetto sperimentale che ha contribuito ad aprire in Italia una stagione di lotte con il primo sciopero autorganizzato dei braccianti contro la schiavitù ed il lavoro nero. Un’intervento portato avanti da associazioni di base ( Brigate della Solidarietà Attiva e Finis Terrae) che ha provato a superare  l’approccio etico dell’associazionismo classico  in tema di immigrazione per rimettere al centro il terreno dell’organizzazione dei lavoratori e della loro presa di voce.  Controlacrisi.org lo ha intervistato.

(nella foto: blocco stradale dei braccianti a Castelnuovo Scrivia – estate 2012 )

Nardò, Salluzzo, Castelnuovo Scrivia, cosa succede in agricoltura con i migranti?
Succede che nonostante i tantissimi tentativi di rimuovere l’attenzione su ciò che accade nel mondo del lavoro migrante qualcosa si muove. Quelli da te citati sono solo i luoghi giunti agli onori delle cronache, ma c’è tanto altro che si muove su questo terreno. Dopo tanti anni, non senza contraddizioni, anche piccoli spezzoni del mondo della chiesa si affacciano al tema del lavoro migrante. Però c’è tanto da costruire, o forse potremmo dire da decostruire; nel senso che è fodamentale rimuovere molti luoghi comuni e schemi di ragionamento incrostati nel tempo che rappresentano il vero freno alla costruzione di un percorso di avanzamento sociale dei lavoratori stranieri. Il tappo non è rappresentato da loro, ma dalle sovrastrutture di noi italiani nel non considerarli lavoratori salariati . A questo si aggiunge il fatto che dentro la dimensione della crisi tutta la questione migrante subisce un disinteresse generale da parte della politica, come se i processi legati alla crisi non fossero profondamente interconnessi allo spostamento delle persone e alla lettura complessiva della dimensione del lavoro e della produzione.

Cosa intendi?
Intendo dire che i migranti hanno raggiunto un sufficiente grado di consapevolezza della loro condizione di sfruttamento e sono anche disposti a lottare. Il paternalismo che abbiamo introiettato noi italiani,invece, è la cifra di un codice di dominio e la misura di una indisponibilità a guardare il lavoro migrante dentro una dimensione di classe e nei rapporti di forza veri del mondo produttivo. Rispetto alle lotte dei migranti di cui si faceva cenno prima, la narrazione, purtroppo, l’hanno fatta i soggetti altri.

Si, ma non tutti i soggetti coinvolti in queste lotte sono soddisfatti del risultato e degli effetti.
Certo, ci mancherebbe altro. Quello di cui parliamo non è teoria astratta ma vita concreta. Io posso testimoniare meglio quanto avvenuto a Nardò che è il primo in ordine cronologico e forse, senza sminuire il resto, anche il più efficace sul livello politico. Se parliamo coi lavoratori di Nardò si può scoprire che non tutti lo rifarebbero e forse qualcuno è anche pentito. Questo dipende in larga misura, però,   da quanto non è avvenuto dopo. Mi spiego meglio: dopo lo sciopero, la legge sul caporalato e anche gli arresti di Nardò il clima, nei campi, è diventato pesante sia a Nardò che altrove. Il livello politico, se prima balbettava qualcosa su questo fronte, ora tace completamente, mentre nei campi il caporalato imperversa e ci sono anche forme regressive di sfruttamento. Abbiamo notizie, in alcune zone d’Italia dove è cominciato il lavoro dei bambini stranieri, mi riferisco a bambini di 7 – 8 anni non ad adolescenti, controllati dai caporali anche in presenza dei loro genitori. Ci sono, comunque, molti altri che lo rifarebbero. Le norme si approvano, ma su questo fenomeno siamo a livello di condizioni di lavoro dell’Inghilterra del 1800. Poi a me pare che il livello sindacale territoriale sia debole e non ponga il tema nel modo giusto; su tutte l’esperienza di Nardò dove si è firmato un accordo che prevede il cottimo. Da questo punto di vista la questione è che non si vuole assumere la dimensione complessiva del fenomeno, ma si naviga a vista tentando di tenere separati i territori e le lotte che li attraversano.
Anche le norme approvate, in ogni caso, sono monche. In alcuni casi sono state pensate esattamente per produrre effetti calmieranti di ogni aspirazione all’emancipazione sul versante del lavoro. Vedi il caso della sanatoria.

Cosa c’entra la sanatoria col caporalato e con lo sfruttamento?
L’impostazione complessiva di questo Governo è assolutamente anti operaia e nello scontro capitale-lavoro è molto sbilanciato sulla difesa del primo e di attacco al secondo. Tuttavia ha come referente nelle politiche sull’immigrazione il Ministro Riccardi il quale proviene da una storia di sensibilità nei confronti del mondo migrante e tutti coloro che si occupano di queste cose sanno che il mondo dell’immigrazione si aspettava qualcosa da questo Governo senza Lega Nord e con un ministro meno aggressivo del precedente. Naturalmente una verniciata di buonismo non guasta mai e nemmeno una sanatoria per tenere buoni tutti. Il Governo Monti su questo tema ha ereditato dal precedente una procedimento di infrazione per il mancato recepimento della direttiva 52/2009, che agisce sulla lotta al lavoro nero e consente di intervenire anche sui lavoratori migranti irregolari.
La somma di queste due esigenze ha prodotto una norma complessiva che a guardarla bene sintetizza il massimo del cinismo istituzionale che si possa produrre: nello stesso provvedimento normativo vi sono due norme che sono in contrapposizione fra loro e sono state pensate esattamente per avere questo effetto. Per essere sintetici la sanatoria è stata pensata per bloccare gli effetti positivi che si sarebbero potuti determinare grazie al recepimento della direttiva 52/2009. Cioè: se un migrante irregolare è sfruttato sa che non può andare a denunciare il suo datore di lavoro perchè, prima di ogni altra cosa, per la legge italiana conta la sua irregolarità. Ma se io faccio una norma che, pur con mille difetti e depurata degli aspetti avanzati della norma indicata dall’Europa, regalo uno strumento in mano ai lavoratori sfruttati per esercitare una forma di riscatto dall’altro, cedo, per effetto della seconda parte di quella norma, nelle mani del datore di lavoro (potenziale sfruttatore), uno strumento ancor più potente: la sanatoria. A questo punto il potenziale di ricatto del datore di lavoro si moltiplica per dieci. In questi giorni tutto il mondo degli addetti ai lavori, anche le grandi agenzie come Amnesty International, stanno dicendo che questa sanatoria è una sanatoria truffa.
Il punto vero è che questa sanatoria è il frutto di una scelta ben precisa: nessun espansione vera dei diritti dei lavoratori migranti e prosecuzione della ventennale politica dei flussi, vera base giuridica dello sfruttamento lavorativo e sociale.

Ma dopo la fine della procedura della sanatoria la norma che recepisce la direttiva 52/09 rimane in piedi come strumento di tutela.
Certo, sulla carta rimane. Il nodo è che a breve vedremo il dispiegarsi di tutto quel pacchetto sul lavoro che conosciamo come “ Riforma Fornero”. Una volta entrato a regime la riforma Fornero il mondo delle aziende non sarà più molto preoccupata dello scarto fra salari formali e salari reali. I secondi e i primi saranno identici. Al ribasso naturalmente. Il nodo resterà ancora il lavoro degli irregolari.

Pubblicato il ottobre 8, 2012 su Uncategorized. Aggiungi ai preferiti il collegamento . Lascia un commento.

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