Archivi Blog

I suicidi in carcere e l’etica della responsabilità

sbarreSandro MARGARA

da fuoriluogo Aprile 2009

La metto così: il carcere è, e in sostanza è sempre stato, una questione totale: cioè, una questione in ogni suo aspetto, un continuum di criticità, che si tengono tutte fra loro. La questione dei suicidi in carcere, a mio avviso, va letta così. Nel contesto del carcere, per dire una cosa ovvia, tutto quello che dovrebbe rilevare sul nostro tema è la sua vivibilità o la sua invivibilità. Il discorso potrebbe allora svilupparsi nella ricostruzione di tutti i fattori e dinamiche di invivibilità, non pochi e non leggeri. Poi, bisognerebbe attuare una strategia dell’attenzione nei confronti di coloro che soffrono in modo speciale la invivibilità.
Ma c’è, indubbiamente, a monte di questi aspetti, un primo punto che non può essere ignorato: ed è quella che potrebbe essere chiamato la «vivibilità dell’arresto», che ha un proprio rilievo, provato dal dato statistico (ricavato dal libro di Baccaro e Morelli: «Il carcere: del suicidio e di altre fughe», letto in bozza) che il 28% dei suicidi in carcere si verificano entro i primi dieci giorni e il 34% entro il primo mese. Sotto questo profilo del «tintinnio delle manette», il carcere fa solo da cornice al precipitare di vicende individuali, rispetto alle quali un sistema di attenzione degli operatori non è facile, specie in presenza di certe strategie processuali. Naturalmente, c’è chi dirà: «Non vorrai mica che il carcere non faccia paura?».
Ma veniamo ai fattori di invivibilità del carcere, subìti e sofferti da tutti e da alcuni fino a rinunciare alla vita. Il primo è quello legato al sovraffollamento, che ha due aspetti a cominciare dal fatto di vivere a ridosso immediato di altre vite, il levarsi reciprocamente l’aria, il che non è affatto poco (gli esperimenti per le scimmie dicono che diventano nervose: e gli uomini?). Ma poi, in una struttura sovraffollata, inevitabilmente le disfunzioni sono infinite. Si lotta per sopravvivere a livelli minimi.
Il Comitato per la Prevenzione della Tortura del Consiglio di Europa (Cpt), ha considerato la situazione di sovraffollamento in carcere, come «trattamento inumano e degradante». Tanto maggiore sarà la invivibilità quanto più si accompagnerà alle lunghe permanenze in cella, a fare della cella il luogo di una vita invivibile. E la normalità, in situazioni del genere, è che dalla cella si esce solo per brevi periodi «d’aria», ma non per lavorare o per altre attività né, per molti dei detenuti (stranieri, persone sbandate per le ragioni più varie, etc.), per avere colloqui con i familiari. E’ possibile costruire prospettive di uscita da queste situazioni? Lo impediscono: la povertà delle risorse organizzative del carcere su questo versante, le risposte sempre più difficili e spesso negative della magistratura, lo stesso ridursi delle possibilità o la mancanza di queste per la fascia sempre più numerosa degli stranieri, che attendono solo l’espulsione (nei grandi carceri metropolitani sono ormai ben oltre il 50%, ma anche la media nazionale si avvicina al 40%). C’era una volta un Ordinamento penitenziario che dava delle speranze di permessi di uscita, di misure alternative, ma anche questi spazi si sono sempre più ristretti – per leggi forcaiole e per magistrati condizionati dal clima sociale che le produce – e le speranze si sono trasformate in delusioni.
D’altronde, il suicidio non è l’unico prodotto della invivibilità delle carceri: lo sono anche i tentati suicidi, come pure, spesso difficili da distinguere dai primi, i gesti autolesionistici. Tutto insieme, si arriva vicini all’inferno. C’è, comunque, una campagna della amministrazione penitenziaria per individuare e agire a sostegno dei soggetti più a rischio. Ma non si può sperare che questo serva quando gli sforzi necessari sono limitati da poche risorse, destinati a durare per poco tempo, come accaduto in passato, affidati ad un sistema di sorveglianza psicologica e psichiatrica mai costruito adeguatamente: il tutto sempre dentro quelle condizioni di invivibilità che si mantengono e si concorre anzi ad aggravare, come dimostra l’accelerazione delle dinamiche di sovraffollamento. Tento una conclusione. Sentire, tutti, la responsabilità di questi morti e del carcere che li produce è una scelta etica desueta.

Stato di Polizia

polizia011

La stampa nazionale non ha più freni: si susseguono le notizie di violenze ad opera di nomadi, rumeni e stranieri in genere, il tutto condito da una spruzzatina di fascismo in fieri. Il pacchetto sicurezza approvato e le norme ancora in discussione prefigurano una sorta di stato di Polizia. Se si aggiungono le mai dismesse leggi “speciali” in vigore dai tempi della stupida lotta armata, il quadro legislativo che ne emerge è raccapriciante. Non è un caso che il Presidente della provincia di Milano ( PD) Penati “esorta ” la sinistra radicale ad approvare le ronde. I medici sono costretti a disconoscere il giuramento d’Ippocrate e a denunciare gli irregolari che usano il SSN e la stampa da risalto solo ad una parte del problema. Si arriva ad una legislazione d’emergenza per tutti dopo anni di legislazione speciale per i soli migranti. Nel pacchetto sicurezza , che ridà nuova linfa ai sindaci sceriffi, oltre che ai Questori e ai Prefetti, si prevede tra l’altro la “ridefinizione” degli spazi dove sono consentite le manifestazioni di protesta e si inibisce, dando poteri a Sindaci, Prefetti e Questori, la presenza di luoghi frequentati da molte persone. In pratica sarà più difficile fare un volantinaggio davanti ad un teatro o ad un centro commerciale. A completare il quadro, è bene ricordarlo, ci sono le misure di nuovo conio, come le ordinanze sindacali contro i lavavetri e contro l’accattonaggio che prolificano, anche nei comuni a gestione PD, e le vecchie già consacrate leggi come la bossi-fini e la fini-giovanardi sulle droghe che criminalizzano i giovani che si fanno una canna. Se questo non è stato di Polizia cos’è? Le statistiche ufficiali ci dicono, di contro, che i reati gravi sono diminuiti e che le violenze, in specie sulle donne , avvengono soprattutto in famiglia. In tutto questo il disegno politico che emerge è il tentativo di creare il capro espiatorio per una perversa lettura della crisi economica che ci attraversa. Le ronde sono l’ultimo capitolo di una narrazione non ancora terminata su chi è responsabile del malessere sociale che stiamo vivendo. Lampedusa brucia e i migranti arrivano come prima, rafforzando le fila del lavoro nero perchè non hanno possibilità di regolarizzazione; nessuno si accorge che sarebbero necessari una sanatoria dei migranti irregolari e una nuova legislazione sui migranti. La lega, nonostante i proclami è riuscita solo a peggiorare la situazione anche sul piano che essa persegue: gli arrivi sono aumentati, l’accoglienza non esiste e anche il Sindaco di lampedusa definisce il CIE un lager. In questa situazione il PD non dice nulla e cincischia solo sui propri problemi interni, come al solito oltre alla sinistra solo l’Europa si fa sentire, lo fa contro la norma sui medici spie, mentre anche Fava ( SD) non sa fare di meglio che proporre provvedimenti che puniscono con l’espulsione i migranti che lavorano in nero. L’Unità della Sinistra? A PARTIRE DAI CONTENUTI GRAZIE.

GIANLUCA

Il “crime deal” italiano

foto-9-salvatore-palidda Dal sito Osservatorio sulla repressione http://www.osservatoriorepressione.org

di Salvatore Palidda

All’inizio di dicembre 2008 il totale dei detenuti in Italia è quasi lo stesso di prima dell’indulto, cioè circa 59 mila, con una percentuale sempre in crescita degli stranieri soprattutto al nord mentre al sud prevale la criminalizzazione dei locali spesso considerati come affiliati alle mafie anche quando si tratta di semplici piccoli delinquenti, di manifestanti contro le discariche di rifiuti tossici o degli ultrà napoletani dell’accusa-bufala di assaltatori di treni e stazioni. I forcaioli dicono che l’indulto è stato una catastrofe perché la maggioranza dei beneficiari è stata re-incarcerata, ma nessuno dice che questo è il risultato prevedibilissimo dell’assenza quasi totale di assistenza a chi esce dal carcere che però è sempre preda facile per quegli agenti di polizia a caccia dei soliti noti per mostrare quanto sono produttivi. Leggi il resto di questa voce

Comunicato UIKI per Leyla Zana

leylazana2UIKI-ONLUS

Ufficio d’Informazione del Kurdistan in Italia

All’attenzione dell’opinione pubblica italiana,

Comunicato stampa

sul nuovo possibile arresto di Leyla Zana e sulla militarizzazione del Kurdistan

riceviamo e pubblichiamo

La Turchia sta procedendo verso una progressiva militarizzazione e lì si afferma sempre più un orientamento di tipo sciovinistico. Nella prassi quotidiana s’infliggono ormai condanne alla carcerazione a ogni rappresentante politico del popolo kurdo, per discorsi pronunciati pubblicamente…. Leggi il resto di questa voce

CPT – Carceri a tempo?

Stando a Corriere.it ( http://www.corriere.it) la destra si starebbe preparando all’ennesima follia per quanto concerne l’oramai lunga e travagliata storia dei CPT. Dopo non aver tenuto conto della loro totale inefficacia sul piano dei riconoscimenti degli internati nei centri e dopo aver dimostrato l’assoluta inadeguatezza di questi strumenti ai fini dell’espulsione, oggi si vorrebbe far passare, finalmente, (sic!) il concetto che sempre ha fatto da retropensiero dei più zelanti controllori del fenomeno immigrazione: Utilizzare i CPT come carceri.

Proviamo a fare due conti su questa proposta. cpt-carceri-a-tempo-corriere-on-line

Leggi il resto di questa voce